📍Via Luigi Cadorna, 5, 60123 Ancona AN
Come si fa a capire se si è depressi?
La depressione è un Disturbo dell’Umore, essa va oltre la tristezza e il tono dell’umore basso.
La diagnosi di depressione viene fatta quando è presente un persistente umor nero accompagnato da una serie di sintomi che influenzano significativamente la vita quotidiana.
I sintomi della depressione possono trasformare radicalmente la vita di una persona, la sua routine quotidiana, il suo comportamento e le sue relazioni.
L’esperienza depressiva è comune, con circa il 3,8% della popolazione colpita, tra cui il 5,0% tra gli adulti e il 5,7% tra gli adulti oltre i 60 anni. Circa 280 milioni di persone nel mondo soffrono di depressione (WHO, 2023).
La depressione è diversa dalle comuni fluttuazioni dell’umore e dalle risposte emotive di breve durata alle sfide della vita quotidiana. Nel peggiore dei casi, la depressione può portare al suicidio. Ogni anno oltre 700.000 persone muoiono per suicidio. Il suicidio è la quarta causa di morte tra i 15 e i 29 anni.
Foto di Yuris Alhumaydy su Unsplash
Quali sono i pensieri della persona depressa?
I pensieri delle persone depresse sono:
- “Sono un fallimento.”
- “È colpa mia.”
- “Non mi accade mai nulla di buono.”
- “Sono senza valore.”
- “La vita non vale la pena di essere vissuta.”
- “Le persone starebbero meglio senza di me.”
Quali sono i sintomi psicologici della depressione?
I sintomi della depressione includono:
- umore basso o tristezza continua
- sentirsi senza speranza e impotenti
- avere bassa autostima
- pianto frequente
- sentirsi senza valore o colpevoli
- essere irritabili e intolleranti verso gli altri
- non avere motivazione
- avere difficoltà a prendere decisioni
- non trarre alcun piacere dalla vita
- umore irritabile
- sentirsi ansiosi o preoccupati
- avere pensieri suicidi o pensieri di farsi del male
Quando abbiamo la depressione?
Sebbene il termine ‘depressione’ sia diventato comune, spesso viene evocato per descrivere una vasta gamma di umori ed esperienze. Dovremmo rendere conto che ci troviamo di fronte a un argomento controverso, le diverse descrizioni o spiegazioni dell’esperienza della depressione, dalla religione alla medicina, lasciano ogni descrizione aperta a contestazioni. Queste diverse descrizioni o spiegazioni non sono né giuste né sbagliate. Dovremmo rendere conto, tuttavia, che ciò che conta è l’effetto delle soluzioni che derivano da questi diversi punti di vista. Suggeriamo che possiamo davvero dire di comprendere un problema solo se siamo in grado di creare metodi che lo risolvono.
La depressione: problema biologico o relazionale?
Dal nostro punto di vista, un episodio depressivo sembra essere l’effetto della reazione a qualcosa che accade nella vita di una persona. Qualcosa che ‘frantuma’ una credenza. In altre parole l’effetto di una delusione, anche se molti sono coloro che arrivano con una diagnosi di depressione endogena; dunque come se la depressione fosse una malattia biologica, più che relazionale.
Frank Ayd è stato uno dei primi psichiatri a considerare la depressione una malattia biologica, come dice lui stesso nel testo Recognizing the Depressed Patient (1961), con questa nuova visione della depressione si ha una sorta di “rivoluzione chimica in psichiatria”. Kirsch (2012) negli studi sul placebo, osservava che le esortazioni dei medici rassicurano i pazienti e alimentano le loro credenza. Il libro di Ayd, promosso e distribuito a 50.000 medici dalla casa farmaceutica Merck, ha permesso la diffusione della credenza che il “dolore” della depressione avesse cause fisico-organiche, per questo curabile con psicofarmaci.
Il paziente credendo in una tale affermazione di fatto viene deresponsabilizzato, poiché venir fuori dalla depressione esula dalla sua volontà. Egli si sente legittimato all’arresa del decorso della malattia e alla speranza che possa andare avanti con la cura farmacologica.
Foto di Denise Chan su Unsplash
La nascita della depressione endogena
Nonostante il libro di Ayd, da cui è nato il mito dello squilibrio chimico in coloro che soffrono di depressione, sia giunto a numerosi medici, l’industria farmaceutica non aveva modo di spiegare in modo conclusivo come funzionassero gli antidepressivi in quel momento e la situazione reale era che “il fatto che un antidepressivo S.S.R.I. aumenti la serotonina nel cervello e migliori l’umore, non significa che la carenza di serotonina sia la causa della malattia”. Tuttavia, ora, con quasi il 20% della popolazione che assume antidepressivi e farmaci anti-ansia (rivista: Salute, 2024), si sa ancora poco sugli effetti a lungo termine dell’assunzione di antidepressivi.
Pur essendo un settore di settanta miliardi di dollari negli Stati Uniti da soli (Richard Frieman, 2014), ora sembra che stia soffiando un vento di cambiamento. Infatti, i laboratori di neuroscienze e i tentativi di ricerca su questa famiglia di psicofarmaci da parte di diverse case farmaceutiche sono stati tutti significativamente ridimensionati o completamente accantonati poiché sembra che il sogno di trovare una soluzione chimica all’ansia e alla depressione non sia stato realizzato.
Dall’osservazione del nostro lavoro clinico sui casi di depressione
Dall’osservazione del nostro lavoro clinico quotidiano, vediamo che la depressione sembra evolversi, partendo da una particolare convinzione che la persona ha costruito su un evento specifico, reale o percepito. Questa convinzione porta a percepirsi vittime condannate all’arresa, a subire poiché incapaci e impossibilitati a reagire. La persona depressa si sente vittima e delusa, o da sé o dagli altri o dalla società e del mondo intorno.
Una tale convinzione derivante dalla descrizione di sé, degli altri o del mondo, indurrà la persona depressa ad interagire, a mettere in atto e a ripetere comportamenti che vanno a confermare la sua profezia, la quale verrà ritenuta oggettivamente vera pur essendo soggettiva.
La percentuale di successo sui casi di depressione presi in cura presso i nostri studi si attesta attualmente intorno al 77%. Questo successo è il risultato dell’approccio pragmatico del modello strategico, il quale ha analizzato la depressione in profondità, individuandone i meccanismi sottostanti e sviluppando tecniche e protocolli personalizzati per affrontare ogni singolo caso.
Un’osservazione significativa è che, a differenza di altri disturbi, la depressione spesso si manifesta come sintomo di un’altra patologia sottostante. La cura della depressione, pertanto, può rivelare il nocciolo del problema reale, precedentemente mascherato dai sintomi depressivi.
Dunque, non si tratta di indagare sulle cause primarie della depressione, bensì di comprendere ciò che porta agli atteggiamenti depressivi, come la rinuncia alle attività, la delega delle responsabilità e il vittimismo. Quest’ultimo comporta un impatto significativo sulle persone che interagiscono con il soggetto depressivo, poiché questi alterna costantemente il ruolo di vittima a quello di aguzzino.
Il cambiamento arriva liberando la persona dal senso di vittimismo e fornendole strumenti che l’aiutano ad evitare di rinunciare, questo perché è la rinuncia che divora l’entusiasmo e rende incapaci, la rinuncia fa morire dentro poiché, come diceva Honoré de Balzac “la rinunciare è un suicidio quotidiano”.
Credenze ed Esperienza
Le convinzioni non sempre si basano su idee razionali, tuttavia esse costruiscono e alimentano uno specifico sistema percettivo-reattivo che si irrigidisce con la reiterazione di determinati comportamenti. In questo modo si struttura uno schema che tenderà a rinforzarsi seguendo l’effetto Rosenthal: auto-persuadersi che qualcosa sia vera, modifica il comportamento e conferma la convinzione.
Nel caso della depressione, non c’è solo un irrigidimento della convinzione sottostante, ma anche la distruzione della convinzione stessa. Quando ci si trova di fronte a un evento imprevisto e precedentemente non previsto, la credenza, a causa della sua rigidità, si frantuma e tutto ciò in cui si credeva crolla in seguito all’‘evento’ inaspettato. Ad esempio, se qualcuno ha creduto per tutta la vita nei suoi ‘amici’, ritendendoli gentili e leali’, se scopre che qualcuno di essi l’ha tradito, ciò che fino a quel momento non aveva bisogno di essere messo in discussione si frantuma in un istante. Allora la paranoia e il sospetto iniziano ad insinuarsi, a prescindere se l’evento sia più o meno vero o importante.
Le nostre ricerche cliniche hanno dimostrato che arrendersi e rinunciare sono le soluzioni tentate più comuni che i pazienti adottano. Arrendersi sembra caratterizzare la risposta primaria in tutti i diversi tipi di depressione che vediamo. Tuttavia, ci siamo resi conto che l’arresa e la rinuncia possono essere espresse in molti modi: rinunciare allo sport, al lavoro, agli affetti … a tutto ciò che si amava prima.
I comportamenti della persona depressa: arresa, sconfitta e vittimismo
La persona che si è arresa si muove in maniera rallentata, appare demotivata, rimugina e ha pensieri negativi, è convinta che: ‘non c’è nulla che possa essere fatto per risolvere il problema, perché provarci!’. Venendo meno il piacere, mostra un umore caratterizzato da una mancanza generale di speranza e avverte la sensazione di non poter far altro che accettare passivamente la nuova tragica realtà dolorosa.
È la tragedia dell’impotenza, che a volte lascia spazio solo al lamento, al ruminazione mentale e alle lagne. Il paziente diventa una ‘marionetta inerme con le corde spezzate’. Questo modello di comportamento e pensiero caratterizza stati depressivi gravi. Questi stati sono la maggior parte di quelli che vediamo nella pratica clinica. Tali casi vengono spesso ‘mandati in terapia’ da altri, di solito dai loro cari, perché il modo stesso in cui si sono arresi alla vita li ha portati a considerare futile la speranza che possa avvenire un cambiamento. Questi pazienti solitamente sono più propensi ad assumere farmaci, anziché impegnarsi in un percorso di psicoterapia. Essendo una reazione prevedibile, poiché “normale” da parte della persona che si è arresa, abbiamo messo a punto una strategia che ci permette ugualmente di intervenire.
Foto di Marco Bianchetti su Unsplash
Come uscire da uno stato depressivo?
Per affrontare le diverse varianti della depressione, utilizziamo un protocollo mirato. Inizialmente, si identificano insieme al paziente i comportamenti che hanno contribuito a peggiorare il suo stato. Successivamente, attraverso tecniche focalizzate, si lavora con il paziente per aiutarlo a superare il senso di impotenza e la rabbia: emozioni comuni nella depressione.
In questi casi per giungere più velocemente all’obiettivo riteniamo utile anche il coinvolgimento dei familiari del paziente. Chiediamo loro di evitare atteggiamenti consolatori o di minimizzare il problema, poiché ciò può alimentare ulteriormente la depressione e causare incomprensioni o rabbia nel paziente. Essi sono guidati a fornire al paziente uno spazio dedicato per esprimere le sue preoccupazioni, il suo dolore, il suo senso di rabbia, la sua delusione. Questo affinché evitino di discutere dei quei disagi durante il resto della giornata.
Il paziente particolarmente resistente che ha vissuto numerose delusioni, può raccontare le proprie esperienze attraverso la scrittura. In questo modo oltre a far emergere degli utili elementi, ha la possibilità di esprimere le sue emozioni e ne trae un beneficio.
Nelle fasi successive, si concordano piccole azioni, diverse dalle solite, da mettere in atto quotidianamente e si continua a lasciare la possibilità di fare il vuoto al bisogno dei pensieri e delle sensazioni negative. Il nuovo comportamento, gradualmente, sostituirà quello precedente, fino a cambiare completamente il pattern relazionale.