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Quando pazienti con disturbi del comportamento alimentare (DCA) hanno solo alcuni tratti dell’anoressia (controllo sul cibo col vomito) senza presentare le caratteristiche tipiche delle anoressiche e tratti della bulimia (abbuffate senza controllo) senza presentare i segni caratterizzanti le bulimiche, questi/e pazienti hanno un disturbo diverso dall’anoressia e dalla bulimia.
I/le pazienti che manifestano frequenti episodi di abbuffate seguite da vomito autoindotto rispondono a strategie che mirano a trasformare la compulsione di mangiare e vomitare in un’esperienza sgradevole, poiché si tratta di un disturbo del comportamento alimentare (DCA) basato sul piacere. Da Nardone e collaboratori questo disturbo del comportamento alimentare è stato definito “Sindrome da Vomiting”.
Foto di Jeanne Rouillard su Unsplash
Le due fasi del piacere ossessivo della persona vomitatrice (vomiting)
La persona vomitatrice (vomiting) non vomita perché si è abbuffata, ma si abbuffa per vomitare. Per questi pazienti il piacere provato non è dato dal solo mangiare, ma dalla sequenza di: a) fase eccitatoria (attivazione fisiologica dell’organismo indotta dal desiderio), b) fase consumatoria (l’abbuffata che conduce alla voglia di esplodere nel vomito, la fase di scarica). In terapia, pertanto, l’obiettivo consiste nell’interrompere tale ciclo compulsivo, che si distingue dalla dinamica di funzionamento dell’anoressia e della bulimia.
La letteratura relativa a chi mangia e vomita
La letteratura evidenzia che il 50% dei pazienti con anoressia e il 30% dei casi di bulimia evolvano verso lo stesso pattern comportamentale patologico, caratterizzato da abbuffate e vomito. Ciononostante,
l’attuale classificazione nosografica (DSM-5), non riconosce un disturbo del comportamento alimentare (DCA) basato sulla compulsione piacevole di abbuffarsi e vomitare. L’autoinduzione del vomito è considerata un sintomo dell’anoressia o della bulimia. Sebbene questa interpretazione possa essere applicabile nelle fasi iniziali del disturbo, non consente di comprendere appieno il funzionamento del disturbo e, di conseguenza, di intervenire in modo efficace nei casi di vomiting strutturato.
L’intervento terapeutico è efficace e risulta particolarmente efficiente quando interrompe la compulsione piacevole di mangiare e vomitare, alla base del disturbo.
La terapia per chi mangia e vomita: né anoressica né bulimica: vomiting
Poiché il disturbo è legato a una sensazione di piacere, le pazienti spesso mostrano una forte resistenza al trattamento, talvolta arrivando a cercare di sabotare la terapia. Per migliorare l’aderenza al trattamento, è fondamentale stabilire un legame empatico, facendo sentire la paziente compresa. A questo scopo, il terapeuta adotta il linguaggio della paziente, descrivendo le sue sensazioni e rappresentando simbolicamente il ciclo di mangiare e vomitare come un incontro con il suo “amante segreto”.
“Potremmo dire che ti sei creata un amante segreto, con cui organizzi gli incontri in modo da ottenere il massimo piacere ogni volta. Come una giovane innamorata, provi eccitazione anticipando l’incontro, e quando finalmente avviene, ti lasci travolgere dal piacere.”
Questo “amante” è talmente potente da dominare la paziente, impedendole di godere di altre esperienze e piaceri.
Sono state identificate tre categorie di pazienti, ciascuna con necessità di un intervento diverso (Nardone, 2003; Nardone et al. 2005).
- Le Trasgressive inconsapevoli sono generalmente giovani e non hanno ancora compreso la natura del loro disturbo, che si trova nelle fasi iniziali. Queste pazienti giungono in terapia, spesso accompagnate dai familiari. L’intervento sarà di tipo sistemico, mirato a modificare le dinamiche familiari che alimentano il disturbo. Secondo la tradizione strategica, si prescrive il sintomo: i genitori devono chiedere alla figlia di elencare i cibi da mangiare e vomitare, acquistare gli ingredienti necessari e metterli in vista. Questo approccio paradossale elimina la caratteristica trasgressiva del rituale, poiché un comportamento prescritto non ha più la stessa carica eversiva, soprattutto se i genitori vi partecipano. Inoltre, si può consigliare alla famiglia di praticare il “silenzio” sul problema, evitando di parlarne.
- Le Trasgressive consapevoli pentite sono pazienti cronicizzate che desiderano liberarsi dal “demone” del vomiting. Inizialmente, si utilizza la tecnica dell’intervallo: si consiglia alla paziente di abbuffarsi e vomitare, ma di aspettare un’ora prima di vomitare. L’inserimento di un intervallo temporale tra le due fasi priva il rituale della sua piacevolezza immediata. La diminuzione degli episodi di vomito ridurrà a sua volta le abbuffate, per il timore di ingrassare. Questo approccio inverte la direzione del comportamento, portandolo a autodistruggersi. Se la paziente segue la tecnica, l’intervallo verrà aumentato progressivamente.
- Le Trasgressive consapevoli compiaciute, che sono ambivalenti, si trovano a una fase in cui, pur desiderando liberarsi dal disturbo, non vogliono rinunciare al piacere che il loro “amante segreto” offre. In questo caso, si adotta la strategia del perfezionamento del piacere: si induce la paziente a dubitare del fatto che abbia mai raggiunto il massimo piacere nei suoi incontri. Si esplorano possibili variabili da perfezionare e si suggerisce di ridurre gli episodi di vomito per concentrarlo e massimizzarlo. In questo modo, si prende il controllo del comportamento compulsivo, creando spazi liberi in cui la paziente possa impegnarsi in attività piacevoli alternative, rendendo così più accettabile l’abbandono dell'”amante segreto” e l’applicazione della tecnica dell’intervallo.
Foto di Sergio Briones su Unsplush
Caso: terapia indiretta con adolescente vomitatrice (vomiting)
Il disturbo del vomiting è un disturbo molto comune in adolescenza, per questo l’approccio più efficiente è quello indiretto che prevede la partecipazione dei membri (i genitori) del sistema del paziente.
La paziente, una ragazza vomitatrice, era assente durante i primi incontri. I genitori durante il nostro primo incontro raccontano di aver scoperto la figlia adolescente abbuffarsi e poi andare in bagno e mettersi le dita in gola per indursi il vomito. Di fronte a tale scena, essi hanno cercato di reagire dapprima cercando di capire, poi si sono arrabbiati, ma sempre senza alcun risultato: il comportamento della figlia continuava e la loro preoccupazione cresceva. La situazione stava peggiorando, poiché quel comportamento non si stava interrompendo nonostante i loro tentativi. Dopo averli ascoltati, come solitamente reagiamo in questi casi, dico loro che posso aiutarli ma devono seguirmi alla lettera. Anche se quello che voglio da loro potrà sembrare strano, ogni mattina, già dal giorno successivo, devono fare una domanda un po’ strana alla figlia, ovvero devono chiederle: <<Cosa vuoi oggi da mangiare e vomitare?>>.
All’incontro successivo i genitori tornano dicendo che la ragazza è rimasta inizialmente sorpresa di questa bizzarra richiesta, ma loro hanno continuato a farla ogni mattina, come da me richiesto, anche quando vedevano che la ragazza nascondeva il cibo da mangiare e vomitare. Prima di lasciarli andare, questi genitori vengono incoraggiati a proseguire. Dopo un paio di settimane, al loro ritorno, riportano di aver osservato che le abbuffate e il vomito sono diminuiti e che la figlia ha mostrato rancore, tantoché in un’occasione presa dalla rabbia ha detto loro di averle averle rovinato tutto.
Passi e logica dell’intervento paradossale utilizzato
Con tale richiesta i genitori hanno eliminato il piacere della trasgressione. Nei casi delle ossessioni compulsive governate dal piacere l’eliminazione del vantaggio secondario è il primo passo da compiere. Tuttavia, il problema non era del tutto risolto. Solitamente, da questo momento in poi, le possibilità che il paziente chieda aiuto ai genitori aumentano notevolmente. Pertanto, la terapia indiretta può diventare terapia diretta, da svolgersi con il “portatore del sintomo”, in modo da eliminare completamente anche i comportamenti sintomatici residui.
Chiedere al paziente di compiere volontariamente il comportamento problematico è una tecnica basata sull’ingiunzione paradossale. Nel caso specifico, con tale tecnica, si vanno ad interrompere i precedenti comportamenti fallimentari dei genitori e al contempo si rende sgradevole il piacere del mangiare per vomitare della figlia.